Quando i carri armati sovietici entrano a Praga (nell’agosto del 1968) Miloš Forman ha 36 anni essendo nato a Caslav, piccola città a est di Praga, il 18 febbraio 1932. Il padre (partigiano contro i nazisti) e la madre li ha persi entrambi da molto tempo nei campi di concentramento di Buchenwald e Auschwitz. Cresciuto con i fratelli dagli zii, ancora giovanissimo comincia ad amare il cinema, soprattutto quello di John Ford, Buster Keaton e Charlie Chaplin, tanto che poi si iscriverà alla Scuola di Cinema di Praga per studiare regia, dove ha la fortuna di avere tra i suoi insegnanti lo scrittore Milan Kundera. Nella prima metà degli anni sessanta partecipa a quel movimento artistico che darà vita a una delle più importanti fioriture cinematografiche nazionali dell’epoca, meglio conosciuto come “Nová vlna”, (in ceco e slovacco “Nuova onda”), equivalente della nouvelle vague francese.
Prima dell’occupazione sovietica ha già diretto due lungometraggi: L’asso di picche, 1963, e Gli amori di una bionda, 1965, con cui si è imposto all’attenzione internazionale (per il secondo riceve una nomination all’Oscar come miglior film straniero). Grazie a queste opere, ispirate a realtà quotidiane narrate con distaccata ironia, viene subito accostato a Truffaut nonché agli esponenti del free cinema inglese. Dopo l’occupazione, piuttosto che accettare un “suicidio artistico” preferisce emigrare negli Stati Uniti, passando prima per la Francia. Un esule, come lo è stato qualche anno prima Roman Polanski.
Nonostante il trauma del distacco, mantiene lo stile e le tematiche a lui più care nel primo film hollywoodiano, Taking Off (1971), una commedia che descrive con toni irresistibilmente satirici i conflitti tra genitori e figli. Il film riceve una buona accoglienza e gli mette a disposizione ingenti capitali per realizzare Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975), a cui verranno attribuiti cinque premi Oscar. Una rivincita per Ken Kesey, l’autore del libro da cui è tratto, che per tanti anni ha dovuto subire ogni genere di ostracismo e di censura. “Non volevo saperne troppo dal punto di vista medico”. E infatti, più che diagnosi e terapie, Forman denuncia un ghetto creato apposta dalla società per nasconderci dentro i “diversi”, curati a pillole di repressione (così come nell’Est comunista le cliniche psichiatriche fungevano da “carceri per dissidenti”). Un duello fatale quello tra l’infermiera Miss Ratched (Louise Fletcher) e McMurphy (Jack Nicholson da Oscar). La lobotomia sembrerebbe rimettere a posto l’ordine incrinato, ma una scheggia fugge via. Proprio il più diverso fra i diversi: l’indiano-“grande capo” sopravvissuto al fratello bianco. Dove andrà? Forse incontro all’utopia dell’era di pace dell’Aquario.
Diventato cittadino americano nel 1975, realizza in seguito uno dei musical più riusciti dai tempi di West Side Story, la trasposizione cinematografica di Hair (1979). E gli va riconosciuto il merito di aver infuso nuova vita a un genere considerato ormai obsoleto: grande spettacolarità nelle messe in scena, coreografie ad altissimo livello, musiche memorabili. Indubbiamente, come europeo, Forman ha un approccio critico verso quel movimento hippie che, negli anni ’60, andava infiammando tanti giovani americani in marcia contro la guerra in Vietnam e il suo baldanzoso Berger (Treat Williams), morto per sbaglio al posto di un altro, più che un modello da celebrare sembra un velleitario che gioca a fare la rivoluzione. Eppure quel finale, quella corsa, quella folla di ragazzi immortalata a metà strada tra Woodstock e la bandiera degli Stati Uniti resta il simbolo più suggestivo di un’epoca e di tutta una generazione.
Dopo la discordante accoglienza riservata a Ragtime (1981), forse perché rimaneggiato troppo dal produttore Dino De Laurentiis, nel 1984 realizza un altro capolavoro, Amadeus, con cui si aggiudica ben otto premi Oscar, compreso quello per la regia (il secondo). Biografia del grande musicista di Salisburgo, incentrata sulla rivalità tra un Mozart giovanissimo (Tom Hulce) e il maturo Antonio Salieri (Fred Murray Abraham). Stavolta il duello è tra un genio e l’invidia che un mediocre prova per lui. Magnificenza di costumi, di ambienti e di scenografie. Per girare questo film Forman torna a casa, a Praga, e forse si rende conto di quanto sia diventato immane il divario tra lo stile del suo cinema degli esordi e l’opulenza spettacolare a cui è approdato. Dopo quello comunista, comunque, non smetterà mai di criticare ogni forma di potere, compreso quello esercitato dalla società capitalista. La ribellione contro l’”ordine” e contro qualsiasi forma di razzismo resteranno sempre una costante del suo cinema.
Stabilitosi a Danbury, nel Connecticut, ha già due matrimoni alle spalle quando nel 1999 sposa Martina Zborilova dalla quale avrà due gemelli, proprio mentre sta girando Man on the Moon, biografia di un personaggio fuori da ogni schema, il comico statunitense Andy Kaufman (Jim Carrey, premiato con un Golden Globe). Al Festival di Venezia 2017 viene presentato fuori concorso Jim & Andy: The Great Beyond, making of di Man on the Moon, documentario di Chris Smith sui retroscena che hanno scandito la lavorazione del film, compresi i frequenti attimi di tensione tra Jim Carrey e Milos Forman.
Nel 1997 si è già aggiudicato l’Orso d’Oro al Festival di Berlino con Larry Flynt – Oltre lo scandalo, biografia del proprietario della rivista porno “Hustler” (Woody Harrelson). Prodotto da Oliver Stone il film ripercorre le vicende umane e le traversie giudiziarie di un uomo che si appella al primo emendamento della Costituzione americana (quello che protegge la libertà d’espressione).
Torna al grande affresco storico rievocando la figura del pittore Francesco Goya con L’ultimo inquisitore (2006), storia di efferata violenza nei confronti di una donna (Natalie Portman) che testimonia tutti gli orrori e le atrocità commesse dall’Inquisizione spagnola. In seguito è costretto ad abbandonare l’attività per una grave malattia agli occhi, ma continua lo stesso a lavorare sui set, stavolta come attore, per Le bien-aimés (Christophe Honoré, 2011), dove recita accanto a Catherine Deneuve e Chiara Mastroianni.
E’ la moglie Martina a dare la notizia della sua morte, improvvisa e serena, il 14 aprile scorso. Aveva 86 anni.
Ornella Magrini
Splendido pezzo….