Roma, Circolo degli artisti 23 ottobre 2014
La nascita di un’etichetta indipendente, in un momento storico in cui i mercati discografici (se esistono ancora) sono sprofondati in un buco nero apparentemente senza via d’uscita, viene e deve sempre essere accolta con grande calore e entusiasmo, qualsiasi sia il genere musicale portato avanti. La forza di volontà e l’iniziativa di ragazzi che uniscono i propri sforzi per creare piccole realtà autonome non fanno altro che alimentare e tenere in vita una scena e un sottobosco artistico che mai, come oggi, ha bisogno di sopravvivere e respirare.
Interessante è il caso di questa Bravo Dischi, un’etichetta che nasce all’interno di uno dei live club più attivi della capitale, Le Mura, un punto di riferimento imprescindibile soprattutto per band e ascoltatori avvezzi a sonorità indie-rock. Ma dalla presentazione avvenuta questa sera al Circolo degli artisti, i confini indie sembrano essersi ampliati, fino a raggiungere lidi più distanti quali il classic rock, il cantautorato, il soul e l’alternative rock. Entrati nel locale, tenendo in mano l’EP “Partenza”, 6 brani (2 per ogni band) contenuti in un originalissimo package, veniamo accolti dall’ingresso sul palco del primo artista, Joe Victor.
JOE VICTOR
Per il primo pezzo il cantante, oltre alla sua chitarra acustica, viene accompagnato unicamente dall’organo e dai controcanti di Valerio “Gimmie lovin” Roscioni, e immediatamente ci ritroviamo catapultati on the road su una decappottabile presa a noleggio che sfreccia a tutta velocità in pieni anni settanta negli States. Anche una volta che la formazione viene completata dal basso e dalla batteria, piacevolissimi e nostalgici richiami al rock americano più classico quali Creedence Clearwater Revival, The Band, James Gang o Grand Funk Railroad echeggiano nell’aria, con soventi incursioni in Inghilterra (le liriche di Rod Stewart, ma anche le melodie dei Rolling Stones, come emerge dal brano conclusivo, quasi una rilettura di “Get Off Of My Cloud”). La band appare davvero affiatata, il batterista, seppure a volte non precisissimo, ha il suono di rullante più 70ies degli ultimi anni (forse dovuto all’uso sovente della spazzola?), ma il vero punto di forza sono senza ombra di dubbio gli intrecci vocali del leader e del tastierista, Bob Dylan sembra essersi finalmente riunito alla sua Band. Se gli Stillwater fossero ancora in tour, Joe Victor sarebbe sicuramente a bordo del bus “Almost Famous”.
MAI STATO ALTROVE
Lasciamo l’America per tornare prepotentemente alle nostre radici italiche, con il progetto capitanato da Gabriele Blandamura, già intravisto sui palchi romani a dar manforte ai TheGiornalisti. La sua proposta è senza ombra di dubbio la più personale e coraggiosa, proprio per questo quella che in alcune circostanze ha presentato qualche piccola zoppicatura sul palco. Il suo cantautorato molto intimo, è caratterizzato da cambi di accordi particolari e ricercati, ma perfettamente amalgamati in strutture al contrario semplici e immediate, il tutto ricorrendo all’utilizzo di tastiere, chitarre e liriche soffuse e delicate. Si avverte una grande attenzione per gli arrangiamenti e per la scelta dei suoni (come emerge d’altronde nei due brani contenuti in “Partenza”, forse i migliori del lotto), ma in sede live spesso questa raffinatezza sembra perdere un pò di fascino, dovuto probabilmente anche al fatto che sul palco Blandamura è accompagnato unicamente da un batterista (bravissimo) e da un bassista-tastierista tuttofare. Lo stesso Gabriele si ritrova spesso a sdoppiarsi, alle prese con chitarra, voce e campionatori contemporaneamente, e a volte il tutto appare un po’ scollato. Insomma composizioni forse difficilmente eseguibili da un trio, seppure ottimo. Ma il fascino emanato dalle composizioni colpiscono intensamente più di una volta gli spettatori attenti sotto il palco, in particolar modo durante i due brani finali, “City Life” e “Sogni” (proprio i due contenuti nell’EP]. “Sogni” viene presentata dal cantante come il suo pezzo preferito, e non possiamo che concordare pienamente con lui, con una parte di synth centrale davvero splendida. In definitiva, in studio Mai stato altrove è senza ombra di dubbio il progetto più vero e sincero proposto dalla Bravo Dischi, ma proprio per questo quello più difficile da trasferire in sede live.
FANTASMI
La chiusura del launch party viene affidata alla proposta più spinta e rock della serata, quella de i Fantasmi. Il cantante raggiunge la band sul palco armato di bottiglia di vino di vedderiana memoria (che alternerà però a suo rischio e pericolo con una birra), lanciandosi in un brano in perfetto equilibrio tra i The Cure e i The Strokes, senza ombra di dubbio i due punti di riferimento principali dei cinque musicisti romani. Ma allo stesso tempo si avvertono molteplici influenze, ognuno dei componenti appare avere ben in mente lezioni musicali assai diverse tra loro: il bassista e il tastierista (con il suo synth Korg), sembrano essere spuntati direttamente dalla new wave inglese degli anni 80, il batterista invece colpisce duro memore dei drummer grunge, coadiuvato dai rari inserti chitarristici del cantante che ricordano le disarmonie di Lee Ranaldo e di Thurston Moore, andandosi a coniugare con quelle del chitarrista principale, meno noise in senso di “rumore”, ma più noise nel senso di “disarmonia” e “follia” (a volte forse anche un po’ troppo). Il tutto tenuto insieme da liriche in italiano sussurrate e urlate, con Julian Casablancas assunto a modello principale. Il live, è potente, coeso, energetico, e soprattutto molto vario: ricordare i Sonic Youth o gli Arcade Fire all’interno di uno stesso brano non è certo cosa da tutti. Il loro set è probabilmente il più lungo di tutti, ma il pubblico non sembra minimamente accorgersene, anzi, la mezzanotte arriva subito e inaspettata.
A conti fatti questo della Bravo Dischi è stato davvero un esordio ultrapositivo, all’insegna di una versatilità e molteplicità di proposte di grande qualità, che speriamo possa allargarsi ulteriormente e farsi strada in questo percorso impervio e oscuro. Bravi.
Recensione di Federico
Foto di Fabrizio Forno