Garage. regia di Lenny Abrahamson con: Pat Shortt, Anne-Marie Duff, Conon J Ryan. Durata 85 min. – Irlanda 2007
Il “garage” del titolo è in realtà un distributore di benzina, situato in un luogo molto isolato in prossimità di un lago e distante anche dal più vicino piccolo villaggio.
Josie è l’addetto al distributore, un uomo un po’ ritardato ma accettato e benvoluto da tutti per la sua ingenua e candida bontà.
I limiti dovuti all’isolamento quali la noia, la frustrazione, la staticità, sembrano segnare la vita degli abitanti del villaggio ma non di Josie che si trova a proprio agio sia con il suo lavoro, sia con le poche persone con cui ha a che fare. Quando il proprietario del distributore gli comunica che avrà un aiutante, David, un ragazzo di 15 anni, Josie si mostra contento e dice con orgoglio che gli insegnerà il mestiere. David è un ragazzo serio, parla poco, un po’ come Josie e per questo loro due si intendono benissimo.
Ma l’ingenuità di Josie per una cosa fatta senza nessuna malizia da parte sua avrà, purtroppo, delle conseguenze inaspettate.
Stupito che quello che per lui era solo un gioco, come più volte ripete, potesse essere invece considerato dagli altri una cosa riprovevole e perseguibile per legge, gli fa maturare una consapevolezza che lo porterà poi ad agire secondo una sua conseguenza logica.
Con atmosfere che richiamano situazioni degne del miglior Kaurismaki, questa pellicola irlandese ha partecipato e vinto il Torino film festival del 2007.
Centro focale del film è la figura di Josie, resa in modo calzante da Pat Shortt, grande attore comico irlandese di teatro, cinema, televisione ed anche scrittore, così famoso in Irlanda che le poste nazionali gli hanno dedicato un francobollo che lo ritrae proprio nel ruolo di Josie.
Attorno a lui si muovono gli altri personaggi del film, gli abitanti del villaggio.
Il distributore situato fuori del villaggio e la “diversità” di Josie evidenziano il senso di isolamento che aleggia nel film e che nemmeno l’arrivo di David, anche lui una persona isolata, riesce ad attenuare. Vi sono anche altri elementi ricorrenti nel film che contribuiscono ad evidenziare questo senso d’isolamento e immobilità: i binari della ferrovia, la riva del lago, un vecchio capanno, un cavallo bianco sempre rinchiuso dentro un recinto. È proprio con l’immagine del bellissimo cavallo bianco, ora fuori del recinto e che avanza frontalmente fino a riempire tutto lo schermo, che si conclude il film. Volendo azzardare un’interpretazione di questa scena finale, il cavallo che esce potrebbe intendersi come superamento dell’immobilità e come simbolica uscita di scena.
Recensione di Franca