La vita di Adele, di Abdellatif Kechiche. Con Léa Seydoux, Adèle Exarchopoulos, Salim Kechiouche, Mona Walravens, Jeremie Laheurte, Alma Jodorowski, durata 179 min. – Francia 2013.
Il film ha conquistato la Palma d’oro come miglior film alla 66° edizione del Festival di Cannes. Un premio meritato e avrebbe meritato anche quello di migliore attrice protagonista per Adèle Exarchopoulos: lei è il film. Come sempre quando si trova di fronte a un linguaggio non convenzionale la critica, si è divisa. Questo film mi ha commosso, ma non consiglio di vederlo a tutti costi. Semmai di vederlo se si desidera sperimentare la propria disponibilità alla verità. La verità di un altro. Accoglierla senza giudizio, senza opporsi ad essa.
Adele significa giustizia in arabo e questo film potrebbe intitolarsi la vita giusta. Perché di giustizia nella vita non si trova quasi mai traccia, se ne può parlare e tentare di cercarla, per finire poi frustrati e amareggiati dal non averla mai trovata. La giustizia è una convenzione umana, è una propensione, un’aspirazione del cuore e dell’anima. Una speranza che si può nutrire per una vita intera, che appartiene al singolo individuo e che lo sostiene ogni giorno nelle scelte, nell’amore, nel dovere, nell’aspettativa di vita e nella sua arte. Quello che il film invece ci racconta è il coraggio di stare nella verità. Adele ha la stessa innocente ambizione di verità e non si risparmia, nella gioia e nel dolore lei è vita. È come la forza di quel mare aperto dentro cui si lascia cullare, abbandonata al movimento gentile delle onde. Il film va guardato con la stessa apertura, con lo stesso abbandono.
“Adele è un personaggio eroico per me. Nonostante il dolore, lei continua a realizzare ciò per cui è destinata. E’ una donna libera, coraggiosa, forte e devota. E’ devastata dal dolore, ma è comunque in grado di nasconderlo e conviverci.” – Abdellatif Kechiche
Recensione di Costance