Il ladro di gomme, di Douglas Coupland ISBN edizioni. 317 pag. 17,50 euro.
senza discussioni
Inaspettatamente, moltissimi anni dopo l’ottimo esordio con “Generazione X”, Coupland ci regala un capolavoro. Probabilmente è il capolavoro della sua maturità, ha 52 anni. In questo testo ha distillato contenuti, stile, forma, struttura e intreccio in un testo che definire romanzo sarebbe come definire “giovanotto brillante” un maturo Leonardo da Vinci. In quest’opera tutto è perfetto.
E’ profonda e, contemporaneamente, divertente. Affronta tematiche esistenziali e prove durissime per l’equilibrio psichico dei personaggi con la leggerezza di un piuma. Graffia il viso dei personaggi più sgradevoli con la grazie leggera di una carezza materna.
Già l’incipit ci fa capire quale sarà il tono:
“Qualche anno fa sono arrivato alla conclusione che tutti, superata una certa età e indipendentemente da come appaiano all’esterno, sognino quasi costantemente di scappare dalla propria vita. Non vogliono più essere chi sono. Vogliono chiamarsi fuori. La lista include Thurston Howell III, Ann-Margret, il cast di Rent, Vaclav Havel, gli astronauti dello Space Shuttle e Snuffy dei Muppet. E’ universale.”
Oppure, con una semplice battuta, descrivere più che compiutamente un personaggio indifferente a tutto ciò che gli gira attorno. Moltissimi scrittori, forse tutti, nella descrizione di un personaggio simile, avrebbero speso pagine e pagine di giustificazioni esistenziali, esperienze pregresse e metafore più o meno riuscite. Coupland risolve in SEI parole.
“Kyle? Quello è fatto di teflon.”
Chi scrive queste parole è Roger, un quarantatreenne che tiene un diario proprio, un diario “in nome e per conto” ma soprattutto con gli occhi e il cuore di Bethany, una sua giovane collega, sta scrivendo un romanzo dal titolo “Lo stagno del guanto”. In questo romanzo, che ricorda da vicino “Chi ha paura di Virginia Wolf?”, i protagonisti sono una coppia di scrittori con rispettive mogli. Uno degli scrittori sta lavorando ad un romanzo che descrive la vita di Roger stesso, in un gioco di specchi che rende godibile la lettura come molto di rado può capitare.
Come accade soltanto con le opere veramente grandi, è sostanzialmente impossibile parlare di questo testo senza sentirsi in colpa per non averne sottolineato un aspetto o affrontato un tema.
E’ esattamente come voler provare a descrivere la casa sulla cascata di F.L. Wright, qualsiasi cosa si possa dire non potrà mai, neppure lontanamente, dare la stessa scossa emotiva che si può avere nell’affrontare personalmente l’opera con la propria personale emotività. Chi, come me, prova ad avventurarsi in un simile tentativo, deve porsi soltanto un obiettivo: quello di rendere omaggio a un genio e di tentare in ogni modo di far avvicinare quante più persone possibili ad un opera che può arricchire ogni essere umano. Sono consapevole che quanto ho appena scritto possa creare troppe aspettative, è il solito rischio che si corre in questi casi. Per questo motivo, se non volete perdervi o guastarvi un grande piacere, andate, comprate questo libro, tenetelo a portata di mano e iniziate a leggerlo in una di quelle sere in cui siete stanchi ma rilassati, pronti a farvi portare via in un mondo che è il vostro ma è così ben descritto da sembrare un romanzo d’avventura ambientato in Polinesia.
Recensione di Daniele Borghi