Colpo d’occhio, regia di Sergio Rubini. Con Sergio Rubini, Riccardo Scamarcio, Vittoria Puccini, Paola Barale, Richard Sammell (Italia, 2008)
Thriller dei sentimenti ambientato nel mondo dell’arte, non del tutto banale, l’ultimo film di Sergio Rubini “Colpo d’occhio”. Realizzato da “Cattleya”, casa di produzione e distribuzione che ama armonizzare cinema commerciale ed autoriale, ci racconta un triangolo di sottili schermaglie psicologiche.
Vi si narra di un giovane scultore (Riccardo Scamarcio), d’indubbio talento, che intreccia una relazione con una donna colta e sensibile (Vittoria Puccini) già amante di un importante critico d’arte (Sergio Rubini). Quest’ultimo, devastato dall’interruzione del rapporto, penetra nella vita dei due mettendo sotto tutela lo scultore con lo scopo di avviarlo ad una folgorante carriera e con la segreta volontà di dominarli e di sabotare la loro relazione, cosa che puntualmente avverrà.
Il giovane, determinato ad avere successo e influenzato dal forte carisma del critico, si lascia coinvolgere senza comprendere che dietro tanto interesse egli cova sentimenti di vendetta, che sfoceranno in un drammatico redde rationem.
Anche se così descritta la trama può sembrare banale, bisogna dire che il film si snoda in modo abbastanza efficace nella caratterizzazione dei personaggi, coadiuvato dalla buona prestazione degli attori, e soprattutto descrive determinati ambienti artistici, come Berlino e la Biennale di Venezia, nella loro scintillante vacuità e nel loro cinismo con indubbia sagacia.
Rimane però abbastanza involuto nella descrizione delle pulsioni che possono spingere a ricercare il successo ad ogni costo, calpestando addirittura i sentimenti, mancando quindi quello che era probabilmente il suo scopo principale.
Nel tentativo di mantenere sempre viva la tensione del racconto, non si tenta neanche di comprendere perchè l’ambizione umana possa essere così devastante, e se il ruolo di un importante critico possa davvero essere così determinante nella crescita di un autore, al punto di inventarlo.
Sembra, a onor del vero, che il regista ritenga che dietro il raggiungimento del successo debba necessariamente sussistere aridità e deserto dei sentimenti.
Quello che l’opera lascia comunque intravedere, e questa è la tematica decisamente più interessante al di là delle vicende dei personaggi, è che il legame tra l’arte e la vita tende ad essere a volte morbosamente stretto, al punto che il critico ritiene spesso di essere coautore delle opere e di poterle plasmare: l’autore ritiene di essere il migliore interprete ed esegeta delle stesse.
Sergio Rubini, comunque, si conferma robusto narratore ed acuto osservatore della complessità delle relazioni umane, sia pure dal punto di vista di un cinema che usa sì alcuni stilemi di qualità ma che punta altresì direttamente al botteghino.
Recensione by Dark Rider