GOD SAVE THE PUNK!
Di M.Odino, C. Giardina, A.Vinci
Ideazione e regia: Carmen Giardina,collaborazione alla regia: Aldo Vinci: Interpreti: Enrico Salimbeni, Nicole De Leo, Fabio Gomiero; Videomaking e Digital – Scene Sergio Gazzo; Costumi: Eva Coen; Musiche a cura di Pivio & Aldo De Scalzi; Aiuto regia e organizzazione Anna Contieri.
Roma, Teatro Del Vascello.
sito web: http://www.godsavethepunk.com/GodSaveThePunk.html
Un tentativo originale e abbastanza inedito, anche se non del tutto riuscito, di portare sulla scena la rivoluzione “Punk” è rappresentato da questo lavoro di Carmen Giardina, e del suo gruppo di lavoro genovese, che si ispira molto liberamente al volume “Please, Kill me!” di Legs Mc Neill e Gillian Mc Cain.
Su uno sfondo di quattro schermi, sui quali appaiono dapprima immagini attuali su Bush e la guerra in Irak e successivamente immagini suggestive dell’epoca della nascita del movimento e dei suoi percorsi, si snoda, attraverso la rappresentazione scenica dei tre attori protagonisti, la storia della musica “Punk” e le sue origini, visti dall’ottica Newyorkese dei due autori del libro citato.
Viene descritta così la drammatica rottura musicale e culturale con le generazioni precedenti che infiammò molti giovani dalla metà degli anni settanta in poi, influenzando profondamente una generazione e quelle future; l’arte, nel movimento “punk” si fa tragicamente vita, rabbia, nichilismo, rivolta; ogni intellettualismo viene abbattuto, risalta la tragica consapevolezza del “no future”; non c’è bisogno di saper suonare per fondare una “band”: c’è bisogno di saper esprimere il proprio disgusto per il mondo, e per le generazioni precedenti di cui ci si sente vittime.
Presto, però, da fenomeno totalmente anti istituzionale, il movimento viene assorbito dal sistema e quel modo di suonare selvaggio e primitivo viene trasformato in business industriale, al punto che molti seguaci iniziali se ne allontaneranno.
La geniale stilista Vivienne Westwood creerà, ispirandosi ad esso, una moda originale che realizzerà abiti, che soprattutto negli ambienti artistici di tendenza “dark” sono tuttora considerati di grande suggestione visiva.
Il racconto è a tratti appassionante, ben cadenzato dalle musiche originali, selezionate da Pivio e Aldo De Scalzi, che pure provengono dal “progressive”: via via gli attori si calano nei panni dell’uno o dell’altro personaggio, dandoci così la opportunità di risentire i drammatici racconti e le testimonianze di vita dei precursori del movimento, come Lou Reed, di cui viene narrato l’elettroshock subito, Nico, gelida musa ed autrice successivamente di splendidi dischi solisti, gli stessi Velvet Underground, lanciati dalla Factory di Andy Warhol, Iggy Pop, rappresentato come un animale feroce, i suoi Stooges, nonché gli Mc5.
Successivamente viene evidenziata la capacità trasgressiva di Patti Smith, indulgendo in aneddoti di poco conto, e tralasciando colpevolmente di descrivere la sua suggestiva e profetica visione poetica, la sua comunione di spirito con Rimbaud, Baudelaire, William Blake, Jim Morrison.
Il racconto diviene coinvolgente quando si rievocano le figure dei Sex Pistols e della loro furente anarchia, in particolare di Johnny Rotten, di Sid Vicious e Nancy Spungen, dei quali viene narrata la tragica fine.
Si narra, poi, del teppismo dei Dead Boys, e dei Ramones, si descrive una performance delle New York Dolls; con pochi, efficaci tratti commossi viene poi raccontata la tragica fine di Nico, ad Ibiza.
L’operazione complessiva risulta poco equilibrata, con gli attori che in molti momenti conferiscono alla narrazione una eccessiva enfasi. Nello stesso tempo rimane quasi totalmente in ombra la vera valenza di rottura del movimento, che non fu solo musicale, ma investì la vita delle persone, il costume sociale, le convenzioni consolidate. In questo senso la rabbia espressa sul palco appare troppo ostentata e “teatrale” per essere veramente credibile.
Vengono, peraltro, appena nominati gli immensi Clash, vero ariete politico ed esistenziale del movimento, e pur volendo restare nell’ottica di New York, si fa solamente un accenno ai geniali Television di Tom Verlaine, autori di una suggestiva e straniante psichedelia, e nel contempo si dà eccessivo risalto ai “Ramones”ed alla loro musica, tutto sommato abbastanza banale, mentre la figura di Richard Hell, l’autore geniale dell’inno epocale “The blank generation” è efficacemente descritta.
Ciò che emerge con forza, alla fine, è la realistica considerazione che la droga è stata la vera ed allucinata compagna di tanti musicisti “punk”; la stessa ha creato una drammatica fila di croci, come efficacemente rappresentato nella prima e splendida cimiteriale immagine proiettata sugli schermi, in un interessante esperimento di “visual art”.
Il gruppo teatrale genovese ha ricevuto molti applausi, sicuramente in parte meritati, per il notevole impianto scenico digitale realizzato,e soprattutto per il coraggio dimostrato nel portare in scena argomenti che in Italia sono stati accuratamente rimossi dallo spettacolo “mainstream”; ciononostante si abbandona la sala con la sensazione di aver assistito ad una rappresentazione scenica in parte lacunosa e non del tutto soddisfacente.
Recensione by DARK RIDER
Non avrei trovato parole + idonee delle tue per commentare questo evento!!
La rappresentazione tetrale ha cancellato la vena istintiva (e autodistruttiva) del movimento.
Avrebbero potuto, che so, spaccare qualche strumento su amplificatori vari; inondare di sputi la prima fila, con conseguente reazione degli spettatori coinvolti, generando una megarissa!!!
Ma quello sarebbe stato il PUNK, non la sua rappresentazione! D’altronde …the punk is dead, dicono.
Baci. Clo
Mi dispiace deluderti ma Patty Smith non aveva una profetica visione poetica ma solo una rabbia di arrivare con banali e superficiali (dal punto di vista culturale e artistico) riferimenti a Rimbaud e Baudelaire, i Clash non sono mai stati punk ma lo hanno solo usato per arrivare a fare un rock (no)/global, quindi non una operazione nihilista (punk) ma commerciale ed arrivista ed hanno ingannato con questo solo i non esperti del settore, tanto è vero che nell’ambiente (inglese e americano)nessuno li ha mai considerati punk (e infatti si è visto che musica hanno fatto poco dopo). I Television erano sì geniali ma non erano punk (quindi hanno fatto bene a non citarli oltre il dovuto).
I Ramones non solo non erano banali ma hanno SEMPLICEMENTE dato le coordinate al movimento. Possono risultare scarsi, brutti o banali ma sono semplicemete BASILARI quindi fondamentali alla narrazione. Trovo, anche nel commento sopra, il desiderio di rivedere la propria idea del punk e non quella reale unita ad una mancanza di preparazione musicale e sociologica del periodo cui una capacità di critica teatrale non basta a sopperire alle lacune musicali che non ti permettono di mettere bene a fuoco gli elementi da trattare a scapito di quelli secondari.
Se le critiche allo spettacolo vanno fatte questa non è la direzione giusta, io opterei per una visione di insieme senza lanciarmi in giudizi musicali sommari e lacunosi.
SID VICIOUS FOREVER!!!!
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