Roma, Le Mura, 26 novembre 2012
Si sa, la fortuna a volte gioca un ruolo decisivo nelle vicende umane.
Solo ad una serie di fortunate coincidenze, unite ad una dose di ostinazione ed un buon intuito che spesso mi accompagnano, si deve per l’appunto il live report che state leggendo.
Il caso ha voluto infatti che in un periodo in cui numerosi spostamenti e viaggi mi hanno reso complicato seguire la corrispondenza sul laptop e restare aggiornato sulle numerose newletter ricevute, sia comunque riuscito a leggere la notizia di questo showcase di Cody CesnuTT, proprio nella mia città, a volte così avara di veri eventi e solitamente lontana dal cuore pulsante della cultura musicale corrente.
La fortuna poi mi ha concesso di essere solo per quella sera a Roma, cosa che in questo periodo non sarebbe accaduta per parecchi dei giorni precedenti e successivi a quel lunedì. Un ulteriore botta di culo è stato decidere di muoversi verso San Lorenzo ad un orario anomalo, le otto di sera, verso luoghi dove solitamente a quell’ora molti live club hanno ancora le serrande abbassate e stanno ancora sistemando sedie e tavolini. Tutta questa serie di coincidenze mi hanno quindi consentito di arrivare in tempo utile a Le Mura e, dopo una lunga ma ordinata fila fuori del locale, di posizionarmi con cura a due metri dal piccolo palco sul quale era piazzata una consolle da DJ già operativa dalle nove affiancata da un divano in velluto verde e da un piccolo ampli Fender Reverb.
Si è molto parlato negli ultimi tempi di questo secondo album dell’artista di Atlanta, uscito a dieci anni da quel The Headphone Masterpiece che fece gridare al miracolo ed alla scoperta del Marvin Gaye, del Terry Callier del terzo millennio.
Il lungo periodo di silenzio non è stato dovuto alla classica ‘sindrome da opera seconda’ che spesso condiziona se non addirittura inibisce l’ispirazione degli artisti baciati da successo all’album di esordio. In questo caso il Nostro ha messo su famiglia, concentrandosi su moglie e figli: cambiano le priorità, si sa, ma si entra comunque in una fase di crescita, di maturità e di consapevolezza, che comunque sono state immagazzinate e lentamente, senza fretta, lasciate sedimentare in nuove idee musicali che hanno preso corpo ed hanno portato al nuovo Landing on a Hundred presentato stasera davanti ad un pugno di fortunati avventori.
Poco dopo le nove arriva Cody, elmetto d’ordinanza, cardigan rosso e stivaletto con la zip molto anni settanta. Imbraccia una meravigliosa Gibson ES 335 del 1965 con la quale ci farà sognare per l’oretta scarsa della sua esibizione.
Come spesso accade quando ci si trova davanti ad un vero Artista, la cosa che sorprende di più è l’assoluta mancanza di spocchia e di snobismo che immediatamente traspare da ChesnuTT.
Molto cordiale, generoso, spontaneo, caloroso ed attento a rispondere alle domande del pubblico, ha iniziato subito col botto, con Til I Met Thee primo brano dell’album, inno gioioso e manifestazione di una fede da poco raggiunta, esplicitamente dedicato ad un dio non legato ad una religione particolare, ma al bisogno di qualcosa di superiore e di assoluto che a volte può pervadere gli uomini al raggiungimento della maturità. I piedi dei presenti cominciano a tenere il tempo, le dita delle mani di chi è accovacciato prendono a schioccare e si fermeranno a stento tra un brano e l’altro, quando arrivano le puntuali spiegazioni dei contenuti dei brani o, più in generale, le chiacchiere da salotto che intermezzano piacevolmente la musica. Il disco si fa apprezzare per la cura negli arrangiamenti che non compromettono la freschezza dei brani e l’idea di un’opera registrata quasi in presa diretta, senza troppe sovraincisioni ed artifizi da laboratorio: un disco molto ricco di suoni e di strumenti, che però in questa veste live scarna ed essenziale non perde di bellezza né di efficacia: il segno di un grande songwriting, di un groove innato, di una voce sublime e di una indiscutibile capacità di trasmettere buone vibrazioni. Ci viene da lui spiegato che trattandosi di un artista molto legato al ‘visual’ ci teneva molto a lanciare un chiaro segnale, manifestando anche visivamente la forte convinzione delle proprie idee, da difendere stando in prima linea: ecco il motivo dell’elmetto indossato sia stasera, sia sulla copertina dell’album sia in tutte le foto promozionali più recenti. I brani si susseguono con crescente coinvolgimento da entrambe le parti, i primi 4 pezzi vengono praticamente eseguiti ripetendo la sequenza della tracklist: soul, funk, R&B e Blues eseguiti con una padronanza ed una naturalezza davvero unici, manifestando uno stato di grazia sia dal punto di vista compositivo che da quello dell’esecuzione dal vivo.
Per presentare il brano Love is More Than a Wedding Day, penultimo in scaletta, ho tra l’altro avuto il privilegio, in quanto uomo sposato e quindi persona informata dei fatti, di essere invitato a sedere al fianco di Cody, nominato sul campo suo testimonial e destinatario delle sue gioiose osservazioni sul vero amore e sui cliché legati alla vita di coppia. Cosa chiedere di più a questa serata davvero fortunata?
Se ascoltandone i brani in cuffia ero già abbastanza certo di includere questo tra i miei dischi dell’anno, questo showcase ha fugato qualsiasi dubbio: stasera ho visto la LUCE, ho ascoltato il SUONO, ho ballato il RITMO, ho lasciato che il cuore si scaldasse e che si incendiasse di fronte ad un vero ARTISTA che spero davvero di poter incontrare di nuovo, con la band al completo, e che alla già prevista data di marzo a Milano (…te pareva?) se ne possa aggiungere una qui a Roma, città che gli ha dimostrato stasera tutto il proprio affetto, il calore e la riconoscenza che merita.
Live report di Fabrizio Forno
foto di Victor DeLeo