Roma, Parco delle Accademie, 13 luglio 2012
Progetto che nasce dalla ventennale collaborazione tra i tre musicisti, icone del panorama jazz romano: Maurizio Giammarco, prolifico sassofonista attivo fin dagli anni settanta, fondatore e deus ex machina, tra l’altro dello storico ensemble Lingomania; Dario Deidda, tra i migliori bassisti elettrici del momento, ha collaborato con i mostri sacri della musica Jazz; e John B. Arnold batterista (ma è riduttivo) newyorchese di nascita, romano d’adozione, che al pari degli altri due pards vanta collaborazioni da “big” del panorama internazionale. A chi legge la scelta di ravanare o meno a mezzo Google nel curriculum dei tre, per verificare se quanto detto risponda a verità.
Di trio quindi trattasi, ma non certo standard. E mai il termine “standard” fu più azzeccato, dato che anche i pochi “classici” del Jazz che questa macchina da re impasto lavora, non vengono mai proposti in chiave canonica. L’elettronica svolge un ruolo fondamentale nel suono di “Tricycles”. Giammarco, armato fino ai denti di campionatore(?), con un lavoro di loop ossessivo a tratti ipnotico, crea atmosfere uniche, vicine alle lisergie degli anni settanta. John Brandon Arnold non è da meno manipolando su alcuni brani la pasta musica, per lo più in fase improvvisativa col portatile (inevitabilmente marchiato da una mela morsa), fino alla creazione di un suono primordiale fatto di noise ed echi di Zorniana memoria. Alle quattro corde di Deidda l’indispensabile funzione di creare ordine tracciando i confini in questo amalgama, che colpisce lo stomaco e fa volare la mente.
Le fasi più Jazzie della serata si rivolgono ad un suono “altro”. Il drumming di John Arnold, mai banale, lascia poco spazio allo Swing classico. Dotato di una tecnica si invidiabile, ma soprattutto “alternativa”, quando le dinamiche raggiungono l’intensità giusta, il biondo newyorchese, sfoggia il massimo della sua pirotecnica abilità, mulinando le corte bacchette (realizzate appositamente per lui, non superano la dimensione di due terzi della lunghezza media di una bacchetta “normale”) utilizzandone entrambe gli estremi per colpire le pelli. Il risultato? fill di impressionante velocità e potenza…guardare per credere. Anche nel tenere semplicemente il tempo, la pulsazione non è mai quella del puro swing, ma svaria nelle molteplici commistioni possibili, dall’hip hop al drum’n’bass e chissà cos’altro influenzando in modo determinante il prodotto finale.
Il pezzo che apre la serata è una creatura di Giammarco: “Sconclusione”. Si prosegue con brani tratti per lo più da “Electricity” l’ultimo parto della band targato 2012: “Turbamento”, una evocativa e malinconica ballata alcolica, “Zombie’s march” in Zorn style, un medley di Mr. Thelonious Monk, “Monk trilogy”, che si compone di tre classici del “santone pazzo del Jazz”: “Misterioso”, “Monk’s mood” e l’esplosiva “Little rootie tootie” e qui si capisce che la classe non è acqua. Con “Darmonics” e “The playmaker” a firma Dario Deidda, si giunge in luoghi che danno più ossigeno alle corde del basso, che a tratti disegnano ritmiche prossime al funk.
Transitando attraverso i territori dell’improvvisazione elettronica, i tre svariano e si perdono parlando lingue sconosciute. A momenti di contro, partoriscono un esperanto che parla a tutti, ma che pare dire ad ognuno “…sei l’unico che mi può capire”.
Il finale è affidato a “So to speak”, un bluesaccio in 15/8 di Giammarco inframmezzato da uno sghembo assolo di Arnold, che lascia in bocca il sapore delle cose genuine di una volta, quelle che ti fanno credere ancora nell’esistenza della parola “mainstream”.
..Oddio! Ma com’è possibile?
recensione di Okkialetto