BILL VIOLA: Visioni interiori
Palazzo delle Esposizioni 21 ottobre 2008 – 6 gennaio 2009
Le suggestive video installazioni di Bill Viola hanno sancito, ancora una volta, la forte caratterizzazione d’avanguardia della nuova gestione del Palazzo delle Esposizioni.
L’artista statunitense, uno dei più importanti rappresentanti della moderna Arte Visuale, ha presentato, nella Mostra per Roma, le sue più recenti creazioni, determinando, per il visitatore, un angoscioso e straniante percorso in dieci stanze avvolte nella penombra, corredate dalle immagini provenienti dai video.
Questo grande e misconosciuto performer ha cominciato ad occuparsi di videoarte negli anni sessanta, accanto ai cineasti d’Avanguardia Stan Brakhage (inventore di esperimenti sul colore come nel magnificoPreludesJonas Mekas , di cui ricordiamo lo splendido I fucili degli alberi, vibrante apologo antirazzista, per poi effettuare un percorso che lo condurrà verso il cinema, mentre i due cineasti si avvicineranno progressivamente alla videoarte.
Tutta l’opera dell’artista newyorchese parla di cose eterne: dolore, assenza, perdita, nascita, separazione, morte, vita; le sue video installazioni, realizzate con altissima tecnologia, rappresentano i quattro elementi naturali: l’aria, il fuoco, la terra e soprattutto l’acqua, corredati da una pletora di suoni che plasmano lo spazio; le immagini che emanano da essi si esplicano in un ritmo lentissimo, quasi a voler rappresentare una rivolta contro il cosiddetto tempo reale.
Viene in mente la maestosità dei film di Godfrey Reggio, in particolare il lento fluire della vita nel sublime Kojaanisqatsi del 1983, corredato dalle splendide sinfonie di Philip Glass, che richiamava un antico proverbio indiano Hopi, per spiegare come la vita dell’uomo moderno e delle sue metropoli non fosse conforme alle regole della natura.
Nella mostra Visioni interiori, le video installazioni di Viola, girate quasi tutte in cinema 35 mm con estrema attenzione alla luce, alla gestualità, alla rappresentazione, costituiscono un suggestivo viaggio interiore, denso di profonda spiritualità; attraversando le stanze immerse nella penombra, ciascuna delle quali contiene una o più installazioni, si compie un coinvolgente e visionario percorso emotivo.
Si parte dal drammatico annientamento del sé, il corpo brucia lentamente ed annega simultaneamente in The Crossing, e dopo essere stati spogliati del corpo, ci si può arrendere alla missione dell’uomo, in Surrender, ed essere condotti sino alla rinascita, rappresentata da un uomo che emerge da una fonte battesimale sostenuto da due donne, con evidenti riferimenti cristologici, in Emergence; il ritorno alla vita avviene riaffiorando simbolicamente da un utero che purifica e la ridona.
E’ evidente la pittoricità del postmoderno Viola, che coniuga mirabilmente le concezioni più moderne dell’Arte con lo Stile Rinascimentale; egli rivisita poeticamente Giotto, Mantegna, Bosch, Tiziano, Caravaggio e Goya.
Scene di vita quotidiana sono rappresentate, nell’eterno ciclo della natura, attraverso le varie fasi che raccontano la vita privata di Catherine (Catherine’s Room), che al mattino pratica yoga nella sua stanza, cuce di pomeriggio, scrive al tramonto, accende candele di sera, poi dorme, esaurendo detto ciclo. Sull’altro lato della parete, sono in evidenza quattro piccoli schermi, ove appaiono le mani in movimento di un ragazzo, un uomo, una donna di mezza età ed una anziana (Four hands): il lento muovere delle mani ricorda la meditazione buddista, in particolare i mudra, che esprimono in tale maniera antica saggezza e sacralità.
Certamente l’Autore è un mistico moderno, profondo conoscitore del Buddismo Zen, del sufismo islamico, della mistica cristiana.
Nella video installazione Departing Angel, altamente drammatica, un uomo affonda nell’acqua, ma poi riesce a risalire verso la superficie dell’oceano, tornando dalle tenebre alla luce, realizzando ancora la rappresentazione del morire e rinascere. Il Sé rinato è molto fragile: la foresta offre nutrimento e protezione, ma l’uomo e la donna, che lentamente si cercano in The Veiling, non sono destinati ad incontrarsi. Di essi vediamo l’interno dei corpi, le arterie, il pulsare della vita, sin quando non si disintegrano in un lampo di luce Bodies of Light.
La seconda parte della Mostra riparte dal minuzioso esame dell’interno del nostro corpo, di cui noi osserviamo l’immagine allo specchio: le emozioni vengono filtrate, analizzate al rallentatore: il nostro pianto, il nostro riso, vengono dilatati all’infinito (Anima); siamo più portati al pianto piuttosto che al riso, in quanto la vita è sofferenza, come afferma il Buddah, e come mirabilmente viene rappresentato dai due volti che la esprimono (Dolorosa).
L’isolamento e lo smarrimento conseguente del Sé sono rappresentati da Locked Garden, la difficoltà di comunicazione tra gli esseri che porta al fraintendimento da The Greeting, l’esplosione incontenibile della collera da The Silent Mountain, la pena di vivere, il dolore cosmico dell’essere, che può essere consolato solamente dalla condivisione, da Observance.
La vita, infatti, ed il suo divenire angoscioso vengono genialmente rappresentata da un sudario di seta sgranata, che si muove impercettibilmente, in Memoria, ove la brevità e la caducità della vita viene drammaticamente evidenziata; il varco tra la vita e la morte è rappresentato da un muro d’acqua nel lunghissimo video Ocean Without a Shore, presentato alla Biennale di Venezia nel 2007, potentemente evocativo; si ritorna al ciclo del morire e rinascere, ritrovandosi all’inizio.
Usciamo dalla Mostra attoniti, consapevoli di aver assistito ad una sorta di drammatico rito iniziatico, ed aver potuto conoscere il punto di arrivo spirituale dell’Avanguardia moderna nell’ Arte Visuale.
Recensione by Dark Rider