Palermo Shooting, regia di Wim Wenders. Con: Campino, Giovanna Mezzogiorno, Dennis Hopper, Lou Reed. Produzione: Germania, Italia, Francia, 2008. Musiche: Irmin Schmidt
Film ingiustamente massacrato dalla critica a Cannes, pur non possedendo la lucidità e la profondità di pensiero dei grandi capolavori Wendersiani (come Falsche Bewegung, ispirato al Whilelm Meister di Wolfgang Goethe, o Il cielo sopra Berlino, sublime e poeticissima opera esistenziale sulla gente della Città, realizzata poco prima della caduta del Muro, o Lo stato delle cose, che diede inzio alla rivisitazione critica del mito americano da parte del regista tedesco), Palermo Shooting conserva una sua aspra poesia ed evoca immagini di grande rigore narrativo.
L’incipit mostra, con grande potenza visionaria, la Cripta dei Cappuccini, citando direttamente il Nosferatu di Herzog. La narrazione comincia in Germania, nella gelida e postmoderna Dusseldorf, fotografata con raro talento visivo, ove un fotografo alla moda, Finn ( interpretato da Campino leader della band post-punk tedesca Die Toten Hosen) in profonda crisi esistenziale e ossessionato da visioni notturne (gli appare l’ectoplasma di Lou Reed, quale coscienza critica), subisce un grave incidente d’auto e scampa miracolosamente alla morte.
Finn si trasferisce quindi a Palermo per cercare una nuova dimensione di sé; qui, affascinato dalla città misteriosa si aggira per i suoi magnifici vicoli, nel tentativo di disfarsi del suo passato e di ritrovare una ragione per vivere; incontra più volte un misterioso arciere (Dennis Hopper), che lo ferisce gravemente colpendolo con una freccia, ed una giovane restauratrice, Flavia (Giovanna Mezzogiorno, stavolta un po’ convenzionale), che lavora allo splendido affresco Il Trionfo della Morte, suggestivo per le sue metafisiche allegorie; Flavia sembra poter alleviare disagio esistenziale fi Flinn.
Alla fine, in una enorme biblioteca, l’incontro con la Morte rappresentata dal misterioso arciere, che in un innaturale biancore, filosofeggia sulla essenza stessa della morte, semplice rappresentazione dell’ immagine che gli umani ne danno.
La poetica di Wenders, sulla vita, la morte, il percorso spirituale successivo alla perdita di sé, la dinamica del viaggio come conoscenza interiore, è interamente espressa nel film; il senso dell’ immagine filmica è alto e poetico. Purtroppo, la scena dell’incontro con la morte è assolutamente improbabile, verbosa, tanto da porsi ai limiti del ridicolo.
Ove, negli altri film, la filosofia del regista veniva espressa con poetica leggerezza (si pensi agli splendidi dialoghi sull’amore di Solveig Dommartin ne Il cielo sopra Berlino), qui è tutto sopra le righe, intellettuale e molto kitsch, perché possa risultare minimamente credibile.
Anche se lo stralunato Campino tenta di rappresentare il disorientamento esistenziale del fotografo con dolente intensità, e nosnostante le immagini filmiche e la fotografia siano come sempre magistrali, nell’opera manca il vero soffio della vita.
La suggestiva colonna sonora, che spazia come sempre tra i generi, e comprende persino Quello che non ho di Fabrizio De Andrè, di cui Wenders si dichiara devoto esegeta, contribuisce a conferire fascinazione all’opera, che però risulta purtroppo fortemente irrisolta.
Recensione by Dark Rider