Bullfighting, di Roddy Doyle, Guanda, 2011 pp271 eur 17.
Roddy Doyle ha scritto almeno un paio di miei romanzi preferiti (“Una stella di nome Henry” Guanda, 1999 e “Due sulla strada”, Guanda 1996) e alcuni altri buoni romanzi, ma ha pubblicato anche alcune cose veramente difficili da digerire come, ad esempio, i due romanzi che sono più o meno i sequel di “Una stella di nome Henry” (“Una faccia già vista” Guanda, 2005 e “Una vita da eroe”, Guanda, 2010) e alcune altre opere decisamente minori. Quando in libreria ho visto il suo ultimo libro, una raccolta di tredici racconti, comparsi su varie riviste nell’ultimo decennio, ho avuto la netta sensazione di trovarmi di fronte all’ennesima bieca operazione commerciale. Non so se questa operazione editoriale fosse biecamente mirata a rastrellare qualche euro nel consolidato “bacino d’utenza” di Doyle, di certo so che questi racconti formano un magnifico esempio di come, in alcuni casi, l’arte della storia breve possa suscitare reazioni emotive robuste quanto e più di un romanzo.
Va detto e sottolineato che i personaggi, l’ambientazione e il “sapore” di fondo sono comuni a tutti racconti: uomini tra i quaranta e i cinquant’anni sposati con figli e una Irlanda che si dibatte tra cicli di boom economico e recessione danno vita ad un panorama umano con molte somiglianze e infinite varianti. Alcune di queste storie hanno il grande passo veloce di un Carver appena lievemente stordito da qualche pinta di Guinness, altri una sospensione spazio temporale che richiama alla memoria quell’inarrivabile racconto di Hubert Selby Jr dal titolo “Il canto della neve silenziosa”, una delle migliori storie brevi mai scritte, sicuramente la mia preferita. Altri, di certo la gran parte, hanno al loro interno un sentimento così vitale e profondo da riuscire a non scivolare mai nel sentimentalismo, neppure vagamente o per un attimo. E’ raro trovare una serie di racconti così omogenea eppure così articolata. Doyle sembra osservare una pietra non letterariamente preziosa (la vita di un uomo di mezza età con corollario di problematiche legate a figli e a matrimoni più o meno consunti) e farla ruotare con lentezza per osservarne i riflessi ogni volta diversi. E ogni storia ci racconta quel particolare raggio di luce riflessa, quel particolare stato d’animo che cogli gli uomini in quella terra di nessuno che si attraversa quando non si è più giovani e non si è ancora vecchi.
Sentirsi giovani come quando si era ragazzi e si usciva con gli amici soltanto per uscire, per vedersi senz’altra ragione oppure sentirsi così vecchi da accanirsi a collezionare presenze ai funerali. E’ questa la percezione di sé e di un tempo elastico e altalenante che hanno i personaggi di queste storie. Di certo questo non è un libro da consigliare ad un adolescente, ma per chiunque si sia sentito per una volta giovane e vecchio, acerbo e maturo, queste esemplari storie brevi sono uno specchio da cui non sarebbe utile fuggire.
Recensione di Daniele Borghi