Apr 242024
 

In occasione di un suo Live- In romano acustico con a seguito un live full band all’Init incontriamo Stella Burns, un autore tutto da scoprire

Ciao Gianluca, benvenuto su Slowcult! Abbiamo avuto il piacere di vederti per ben due volte a Roma sia in veste solo che in veste full band. Raccontaci da dove vieni, hai una storia molto bella da raccontare da quanto ci siamo detti.


Ciao, grazie per l’invito! 

Sono nato in Sicilia e mi sono trasferito ad un anno a Livorno dove ho vissuto più di 40 anni, e da una decina d’anni abito a Bologna. Mi sono sentito da sempre senza radici e se da piccolo questa cosa mi faceva soffrire ho capito pian piano che poteva essere un vantaggio perché sei in qualche modo più libero.
Ho formato la mia prima band, the Moss Garden, a 18 anni, erano ancora gli anni 80 e facevamo new wave, poi negli anni 90 i Tangomarziano, dove c’erano alcuni componenti dei Virginiana Miller, in cui cantavo la maggior parte delle canzoni in Italiano. Nel 2003, a partire da alcune canzoni soliste ho fondato quella che è stata per molti anni la mia band principale, gli Hollowblue. Parallelamente ho avuto anche altri progetti e ho continuato a scrivere canzoni che hanno trovato poi una collocazione nel mio progetto solista a nome Stella Burns. Nel 2011 Anthony Reynolds del gruppo inglese Jack mi chiese se avessi avuto voglia di suonare come chitarrista in un paio di suoi concerti a Parigi tra i quali inserire anche un breve set con le mie canzoni. Stella Burns è nato ufficialmente lì. Ho suonato molto, pubblicato un paio di dischi fino allo stop del Covid. Anche alcuni lutti importanti mi avevano afflitto e rallentato, ma l’esperienza in prima persona con il Covid mi ha dato un significativo calcio nel didietro che in qualche modo mi ha rimesso in carreggiata. Il nuovo album Long Walks in the Dark racchiude molte di queste esperienze negative, ma sempre con una ricerca della luce alla fine del buio.


I tuoi dischi della vita, quel disco che girando su piatto, mangianastri o lettore cd ti ha fatto dire “ecco questo voglio fare questo”


Da piccolo, mi sono allenato cantando sui dischi dei Genesis di Peter Gabriel, ascoltavo anche Talking Heads, Bruce Springsteen e molta musica classica. A 16 anni, a causa di una pallonata rimasi 10 giorni in ospedale dove con il walkman cominciai ad ascoltare due cassette di Bowie che il mio migliore amico mi aveva registrato. Ero lì con una pupilla dilatata e Space Oddity nelle orecchie e mi si è aperto un mondo. Non c’è stato un disco in particolare che mi abbia fatto capire di voler fare il musicista, sin da piccolo suonicchiavo da autodidatta, durante le vacanze estive, il pianoforte di mio zio in Sicilia, componendo piccole melodie, per il puro piacere di farlo ma l’incontro con Bowie a 16 anni è stato determinante. Mi ha travolto non solo musicalmente ma per una estetica altrettanto emozionate e per tutti i riferimenti culturali che si portava dietro.


Abbiamo avuto la fortuna come musicisti di lavorare con artisti fuori dai nostri confini, dove la musica è vista come vero e proprio lavoro e non come attività con cui riempire le nostre ore libere. 

Noi siamo spesso musicisti da dopo lavoro. Molti di noi svolgono altre occupazioni durante il giorno e dedicano il tempo rimanente alla musica. Quando ci confrontiamo con i colleghi stranieri, mi sembra spesso evidente una differenza nel modo in cui si presentano sul palco e nella tranquillità con cui affrontano la loro attività principale. Comunque il tema è complesso e coinvolge vari aspetti tra i quali, secondo me, una responsabilità anche da parte delle istituzioni.


Come hai percepito la ripartenza dopo 2 anni di stop forzato? Hai notato un diverso atteggiamento dalle audience, una curiosità nuova ? 


Mi sembra che ci sia molta più voglia di partecipare agli eventi in presenza. Dopo tante dirette streaming seduti sul divano, mi sembra che ad un certo punto ci sia stata una certa reazione. Devo dire anche che Bologna è una piazza privilegiata dove avvengono molte cose e c’è un pubblico molto attento. Ovviamente la mia musica continua a rimanere di nicchia ma sì, mi sembra ci sia maggiore curiosità.


Raccontaci di questo nuovo tour e dei prossimi progetti in palco e in studio


Il disco, uscito a fine Gennaio, è stato accolto molto bene e sto suonando più del solito. Molte date sono con la mia band: Lorenzo Mazzilli, Pino Dieni e Samuele Lambertini. Amici e musicisti veramente di talento. Nei posti più piccoli suono invece con chitarra e registratore a bobine, un espediente analogico per creare un concerto più articolato.
Alcuni concerti sono andati sold out, le persone si emozionano e noi con loro. A volte cantano le canzoni, e cantando io in inglese è una cosa a cui non sono molto abituato e mi fa davvero piacere. Abbiamo diverse date fissate da qui a ottobre e altre se ne stanno aggiungendo. Spero di tornare a Roma presto. Quest’anno a parte l’attività live vorrei pubblicare anche un ep di canzoni che non sono entrate in Long Walks in the Dark, cercare di finire il disco a quattro mani con Swanz the Lonely Cat (il cantante dei Dead Cat in a Bag), rimettermi a lavorare al quarto disco degli Hollowblue rimasto per troppi anni nel cassetto e seguire il collettivo Love and Thunder che ho fondato qualche mese fa. Un collettivo di musicisti, video maker e illustratori che ha in serbo un grosso progetto di cui parlerò prossimamente.

ps mai pensato a uno show teatrale? vedendoti dal vivo pensavo a un teatro canzone di qualche sorta

Mi è capitato di fare delle cose in passato su un palco, non come musicista, ma no… non ci ho mai veramente pensato, anche se apprezzo moltissimo sia il teatro che il cinema e da piccolo avrei voluto fare il regista. Intanto mi piacerebbe sicuramente scrivere delle colonne sonore.

Grazie Stella Burns!

A voi !

Intervista a cura di Fabrizio Fontanelli

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