ITALIA SKINS di Flavio Frezza. 215 pagine – euro 16,00 – Red Star Press (2017) Collana Hellnation.
«Non c’è niente come essere uno skin»
Addentrarsi nel terreno delle controculture è impresa scomoda. Soprattutto se con l’intento di offrire uno spaccato fedele sul movimento più osteggiato di sempre e controverso agli occhi dell’opinione pubblica e non solo: quello della scena skinhead. Flavio Frezza, viterbese, classe 1974, con poco più di 200 pagine riesce a dar vita a un saggio socio/antropologico imprescindibile per chi vuole chiarirsi le idee su origini e percorso di una corrente nata oltremanica negli anni 60 e radicatasi in Italia, seppur con altri connotati, negli anni 80. Il libro di Frezza è un documento scritto con cognizione di causa, essendo lui stesso parte attiva del movimento. Ma il pregio di questo lavoro è proprio l’analisi obiettiva del fenomeno, il che rende questo scritto interessante anche agli occhi di chi non ha avuto mai contaminazioni con la scena. Il libro si divide in due parti ben distinte. Nella prima parte ci si sofferma ad analizzare le radici di una cultura dalla forte connotazione proletaria e antirazzista, che si riconosce nella sua cifra stilistica ancor prima di quella ideologico/politica. Un movimento nato nei sobborghi inglesi, abitati appunto da esponenti della working class e da comunità di immigrati caraibici (prima fra tutte quella giamaicana) dove la contaminazione avviene in maniera reciproca grazie anche alla condivisione di interessi comuni quali l’amore per il calcio e la musica ska, ma anche la cura e la ricercatezza quasi maniacale nel vestiario, come fortissimo segno distintivo.
Nella seconda parte ci si immerge dentro la scena italiana per bocca di testimoni autorevoli. Personaggi di spicco del panorama cui Frezza dà loro voce intervistandoli, sviscerando una sorta di autoanalisi a momenti celebrativa, ma anche autocritica. È un viaggio che copre dal nord al sud dell’Italia “skin” (isole comprese) e che dipinge le molteplici realtà di questa controcultura mettendo a nudo il rapporto dei protagonisti in relazione a contesti quali la musica, le droghe, la politica. Soprattutto su quest’ultimo punto vale la pena soffermarsi poiché nessun altro movimento ha dovuto subire suo malgrado la gogna dell’etichetta nazista e xenofoba a causa di una mistificazione operata da parte di quelle minoranze estremiste che hanno cercato di far loro una bandiera che non gli appartiene, riuscendo però purtroppo a trasformare nell’immaginario collettivo la parola skinhead nel sinonimo di naziskin.
Questo libro è un percorso che aiuta a comprendere una realtà molto più di quanto l’autore stesso dichiari, dicendo di volersi rivolgere esclusivamente agli “skinhead stessi, o chi comunque è stato in qualche misura coinvolto in questa scena o in altre contigue” suscitando invece l’interesse in aree più vaste, al di fuori dei confini di appartenenza, contribuendo a far luce su un qualcosa che, travalicando il fenomeno sociale fine a se stesso, diventa e rimane un vero e proprio stile di vita.
Claudia Giacinti